La Corte dei Conti è riuscita a mettere il dito nell’unico vero ventre molle dell’intreccio Tesoro-Morgan Stanley relativo alla compravendita di derivati. Si tratta di una clausola contrattuale che stravolge completamente il senso e lo scopo del contratto stesso al punto da renderlo speculativo, anziché protettivo, e cosa ancora peggiore dissimula in realtà un contratto diverso per il quale la banca d’affari avrebbe dovuto corrispondere un premio.

Quanto ha perso il Tesoro?

Nel periodo 2011-2015 il Tesoro ha pagato alle banche d’affari 23,5 miliardi di euro per interessi e oneri vari. A questo dobbiamo sommare la valorizzazione di mercato dei contratti ancora in essere (il cosiddetto “mark to market”) che indica il valore della perdita potenziale che potrebbe ancora verificarsi. Nel caso del Tesoro, nel 2015 la perdita attesa ammontava a 31,3 miliardi di euro (dati Unimpresa).

Perche il Tesoro ha sottroscritto i derivati?

Nella maggior parte dei casi si parla di contratti a copertura del rischio di aumento dei tassi (cosiddetti IRS, “interest rate swap) dai quali il Tesoro avrebbe guadagnato se i tassi di mercato fossero saliti, e perso se i tassi fossero scesi. Dunque, l’idea era che nel caso di salita dei tassi, il maggior onere degli intessi passivi sarebbe stato compensato dal guadagno sui derivati che in parte avrebbe annullato l’effetto negativo del rialzo dei tassi. Tutto ciò è spiegato nel mio articolo “Emorragia da derivati: L’intreccio Tesoro-Banche d’Affari (Prima parte)”.

Ora, i problemi di fondo sono due. Il primo, è che i tassi di mercato stavano scendendo e questo era prevedibile guardando i tipici parametri di mercato offerti dai contratti a termine che segnalavano inequivocabilmente un trend discendente dei tassi. Le banche d’affari lo sapevano molto bene e proprio per questa ragione vendevano a mani bassi questa sorta di polizze assicurativa…tanto il “sinistro” non si sarebbe mai verificato.

Il diritto unilaterale a favore della Banca

Non contente di questo, le banche d’affari e segnatamente la Morgan Stanley ha fatto una seconda cosa: nei contratti estinti dal Governo Monti nel 2012 con una perdita di 3,1 miliardi di euro la banca ha inserito una clausola di estinzione anticipata unilaterale. Tale clausola era contenuta in un contratto quadro del 1994, al quale il pacchetto del 2012 faceva riferimento, e fissava a 50 milioni di euro (si, 50 milioni, non miliardi!) la variazione massima del valore del contratto oltre il quale Morgan Stanley aveva il diritto unilaterale di estinguere il contratto in anticipo ed incassare il profitto.

Così facendo, contratti a termine, che conferiscono diritti simmetrici tra le parti, sono stati di fatto trasformati in contratti di opzione, che hanno natura A-simmetrica, senza però che la Morgan Stanley pagasse al Tesoro il premio che le opzioni prevedono! In altre parole, la Morgan Stanley aveva diritti che il Tesoro non aveva, ma per questi maggiori diritti non aveva pagato alcun premio, come invece avrebbe dovuto. Su questo aspetto si veda il mio articolo “L’intreccio Tesoro-Morgan Stanley (Seconda parte)”.

Contratti a termine e contratti a premio

Questo è il punto chiave: i derivati possono essere distinti in due grandi categorie: contratti a termine e contratti a premio. I primi sono accordi simmetrici per i quali si stabilisce una metrica di riferimento rispetto alla quale una parte guadagna e l’altra perde con gli stessi diritti e con stesse probabilità attese. I contratti a premio sono invece asimmetrici, sono cioè opzioni o diritti per una parte a fronte dei quali l’altra parte deve solo eseguire.

Ad esempio, la polizza casco della nostra auto è una opzione perché la compagnia deve pagare se noi lo richiediamo, diversamente dalla bolletta del gas che è assimilabile ad un contratto a termine in quanto ci impegniamo oggi a pagare il prezzo che sarà ed il fornitore ad incassare il prezzo che sarà senza che nessuno dei due abbia diritti nei confronti dell’altro. Qual è la differenza? Che nella polizza assicurativa noi paghiamo un premio a priori e a prescindere dal verificarsi di un sinistro, mentre il gas lo paghiamo solo se lo consumiamo.

Bene, la Morgan Stanley ha preteso che il contratto sottoscritto con il Tesoro fosse un contratto a TERMINE, quindi simmetrico tra le parti, dove nessuna delle due doveva avere diritti diversi dall’altra. In realtà, dentro vi era la clausola di estinzione anticipata a beneficio esclusivo della Morgan Stanley, pertanto ciò configura un contratto a PREMIO, una OPZIONE, per la quale però la Morgan Stanley non ha pagato alcun premio al Tesoro. Questo “scherzo” ci è costato 3,1 miliardi di euro!

Ora mi domando: come mai nel corso degli anni 2000 il Tesoro ha sottoscritto numerosi altri contratti derivati con la Morgan Stanley, come risulta dalla citata audizione di Maria Cannata, nonostante la clausola di estinzione anticipata fosse già in essere. E’ importante domandarsi questo perchè allora vuol dire che la banca americana ha sempre avuto sin dal primo minuto di vita di questi contratti la possibilità unilaterale di estinguerli a proprio vantaggio. Quindi, ha sempre comprato opzioni senza pagarne il prezzo, dissimulandole attraverso contratti a termine di natura simmetrica.

Ciò detto, è credibile, come ha detto Cannata ed altri dirigenti del Tesoro, che i nostri dirigenti non si fossero accorti di questa clausola fino al 2007? E’ credibile, come hanno sostenuto, che si sia verificata una “mancata enfasi” sull’importanza di questa clausola da parte della banca americana?

No! Prendendomi tutte le responsabilità del caso, io ritengo che tutto ciò non sia possibile! La clausola di estinzione anticipata, eseguibile peraltro al verificarsi di uno scostamento infinitesimale del valore del contratto (cioè 50 milioni in rapporto a nozionali di riferimento di diversi miliardi di euro) non poteva sfuggire ai dirigenti del Tesoro! Anche secondo la Corte dei Conti i dirigenti del Tesoro non potevano non sapere e per questa ragione sono stati citati in Giudizio Maria Cannata, il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e gli ex ministri Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli ai quali la Corte dei Conti imputa un danno di 1,2 miliardi di euro.

Grilli e Siniscalco

due ex ministri

 

Il complesso di queste considerazioni ha portato la Corte dei Conti a concludere che alcuni dei contratti “evidenziavano profili speculativi che li rendevano inidonei alla finalità di ristrutturazione del debito pubblico – l’unica consentita dalla normativa per operazioni in derivati – non essendo ammissibile per lo Stato, investitore pubblico, assumersi rischi rilevantissimi” (fonte Reuters, 4 Luglio 2017).

Il carattere speculativo di questi contratti era stato da me sollevato nell’Agosto del 2015 nell’articolo “I tassi scendono ma non per l’Italia” dove denunciavo proprio l’impossibilità di una simile situazione e la sua derivazione da rapporti contrattuali sospetti.

Il danno al sistema Italia

Il problema derivati non riguarda solo il Tesoro. A fine 2015 il totale delle perdite attese da derivati del sistema Italia verso banche d’affari era pari a 160,3 miliardi di euro e corrispondevano al 9,8% del PIL, ripartiti tra imprese (8 miliardi), banche (114,07 miliardi), assicurazioni e fondi pensione (5,7 miliardi), Tesoro (31,3 miliardi) ed enti locali (1,1 miliardi). A puro titolo di esempio, nel mio articolo “Trani non solo rating” riportavo il caso di due aziende truffate proprio sui derivati da parte del sistema bancario.

Una larga fetta dei profitti annuali delle banche d’affari proviene dai derivati. Si tratta del dipartimento più ricco per qualsiasi banca. Questo spiega ad esempio come mai banche del calibro di UBS, Citicorp, JpMorgan, Barclays e Royal Bank of Scotland nel 2015 hanno ammesso di aver manipolato i tassi interbancari falsificandoli verso il basso, in modo che non scattassero i pagamenti legati ai derivati di copertura sui tassi venduti alle tesorerie dei Governi ed alle aziende….ma questo spiega soprattutto un’altra cosa: perché il sistema bancario non consentirà mai ad alcun Paese di liberarsi del debito pubblico!

Continueranno a mentire pur di mantenere in piedi un sistema monetario a debito, perché su questo debito fittizio, non necessario, possono costruire derivati truffa, possono manipolare i tassi di mercato e possono manovrare a piacimento i giudizi di rating attraverso le agenzie di cui le banche sono azioniste. Tutto questo comporta annualmente il trasferimento di decine e decine di miliardi di ricchezza dalla sfera privata e statale a quella finanziaria. Questo è l’obiettivo e stanno conseguendolo con successo. Tutto il resto è noia…

Alberto Micalizzi